Musicucina (Kitchenmusic)

bacco baccanels – dicembre 1999 

Il flauto
Io ho cominciato da giovane a suonare, ma mica tanto giovane. Altri hanno dei figli o sono già andati in guerra.

A quindici anni molti tuoi amici suonano già la chitarra da dio e tu hai appena capito che vale la pena provarci. In altre parti del mondo hanno problemi ancora più gravi.

Tutti hanno una chitarra e tu una balalaika e un flauto dolce. Per restare sulla produzione russa, in altre parti del mondo hanno un kalashnikov.

Sono contrario agli oggetti che non servono e quelli che non so usare.

Il cervello? Quello serve. Serve a fare da peso alla testa, altrimenti come fai ad andare sott’acqua? Pensa, gli uomini “boa”, in mezzo al mare: teste galleggianti all’orizzonte.

Sono contrario agli oggetti che non servono e quelli che non so usare, dunque non posso comprare una chitarra senza saperla suonare.

Scelgo il flauto dolce, quello delle scuole medie: facile da trasportare, esclusivo.

Con il flauto sono uno dell’elite, però le ragazze preferiscono i chitarristi.

Con il flauto sei musicista ma sei strano, sognatore, diverso.

Le ragazze vogliono dei leader e il chitarrista é leader.

La chitarra
Nessun adolescente maschio che vuole essere leader suona il flauto dolce: ci sono troppi doppi sensi.

Il flauto dolce mi dà qualche soddisfazione: una bella esperienza a Parigi, tirare su i soldi suonando.

A causa dei miei principi, inizio ad imparare a suonare la chitarra, a scrocco.

Suonare la chitarra, a fine anni settanta, vuol dire avere un repertorio di quindici canzoni: cinque per gli amici e dieci per le ragazze.

Per gli amici: due Neil Young, Wish you were here dei Pink Floyd, un Jethro Tull e un Guccini.

Per la spiaggia e le ragazze: Cat Stevens, Le bionde trecce, eccetera.

Finita la formazione, nel rispetto della mia etica, compro una chitarra, classica.

Con la chitarra mi sembra di essere in paradiso, non la scambierei per una Ferrari.

Quando ti sembra di essere in paradiso, perdi contatto con la realtà, fai cose poco armoniche e poco melodiche che piacciono solo a te.

E’ un problema se hai un pubblico.

Il capitalismo non ammette pause e con una chitarra classica resti indietro di sicuro.

Il capitalismo preso cosí in due parole, é molto dinamico: se resti indietro di un secondo ti mettono in naftalina per vent’anni prima del revival. Poi sei comunque fuori moda, perché sono cambiate le tecnologie e i materiali e viene conservato solo lo “stile” originario.

Quando arriva il tempo delle chitarre elettriche e delle band di ragazzini una chitarra classica mostra subito i suoi limiti. Il flauto dolce? Reperto archeologico, come un anfora greca.

Il basso
Anche noi, i Drogati di Bollate vogliamo la nostra band!

E’ difficile fare una rock band con un cantante d’origini spagnole e tre chitarristi, di cui uno ha la chitarra classica.

In un gruppo umano che ha un obiettivo si trova sempre una soluzione: emergono i tratti dei forti e c’é sempre il debole che si fa condizionare.

Io non ho una personalità forte, mi faccio condizionare.

In una rock band, chi non ha una personalità forte e si fa condizionare diventa bassista.

E’ cosí che sono diventato bassista.

Diventare bassista é una disciplina dolorosa, come il karate: incominci con strumenti che costano poco. Dopo qualche mese spacchi le mandorle a mani nude.

La band
Con una rock band di Drogati é veramente facile non combinare niente. Il metodo di lavoro é non avere idea di cosa fare e di come imparare. Segue, far suonare un nastro qualsiasi e provare ad andargli dietro tutti insieme.

Una rock band di Drogati prova a casa del cantante, in mezzo al peggio del paese.

La madre del cantante é contenta perché il figlio non va in giro a fare casino, ma il figlio, poco dopo, lascia la band.

Un prete, ex missionario in Brasile, mi offre una sala prove in campagna.

Recupero un batterista cantante molto dance con maglione dentro i pantaloni e la Golf GTI.

Il ragazzo é rozzo ma ha l’animo del musicista e una batteria fatta in casa: il timpano é una grossa latta di vernice, il crash é davvero rotto, il rullante sopravvive.

E’ una bella esperienza, vogliamo fare canzoni orecchiabili e riusciamo a fare solo brani psichedelici.

Il primo concerto non si scorda mai: tre canzoni per dieci persone.

Ognuno ha qualcosa di cui vergognarsi.

Le cose cambiano, prima o poi arriva sempre una band in cui imparare a suonare.

Quando trovi il tuo gruppo, te ne accorgi subito, sembra tutta altra gente.

Trovo una bella sala prove, fatta con materiale recuperato: colore blu elettrico con strisciate di vernice bianca.

La nuova band fa cover, ma é la prima in periferia a proporre Police, Joe Jackson; gli altri continuano con Cocaine.

Su e giù
Comincio a scrivere le prime canzoni, il mercato della musica le vuole in inglese ed io le scrivo in inglese. Però non so l’inglese.

Le cose girano, c’é soddisfazione. Si suona nelle feste, nei locali, si guadagna anche qualcosa.

La televisione mente: i musicisti non sono amati dalle donne. La regola vale per i musicisti miliardari, ma vale anche per i miliardari e basta.

Ho dimostrato fatti alla mano che la regola non vale per i musicisti.

Quando credi che le cose vanno bene, c’é sempre qualcuno che se ne va e qualcuno di nuovo che arriva.

Una lezione di vita: prepari il repertorio per mesi, poi, quando é il momento di metterlo a frutto, se ne va qualcuno e devi ricominciare da capo.

Il mercato della musica é bugiardo e volubile come un duchino del seicento: impieghi anni a preparare un repertorio in lingua straniera, fai concorsi eccetera e ti dicono che adesso vanno i pezzi in italiano.

Quando le cose cominciano ad andarti male, riesci a coinvolgere solo collaboratori inaffidabili.

Trovi un cantante, é bravissimo, voce profonda e impostata. Ti chiedi, perché non va bene? Perché tu sei sul palco, il pubblico é caldo e lui non viene ai concerti. I cellulari non sono ancora stati inventati, come ne esci brillante?

Trovi un batterista, é bravissimo, italiano, vissuto fino a 18 anni in Inghilterra, ideale per sistemare i testi in inglese. Ti chiedi, perché non va bene? Perché dopo mesi, amici, tutti in simpatia, un giorno sparisce per sempre senza dire niente e non se ne sa più niente.

Quando le cose cominciano ad andarti male, trovi infrastrutture inaffidabili.

Trovi una palestra dismessa. E’ lontano dal centro abitato e grande, ideale per suonare. Ti chiedi, perché non va bene? Perché abiti a Milano, d’inverno non é riscaldata e non puoi fare niente per scaldarla.

Con queste premesse, é normale mandare a quel paese tutto e tutti. Vale la pena anche litigare con i migliori amici, in modo che non ti salutino più.

Ricostruire dalle macerie non é facile. Sembra che tutto stia in piedi ma il materiale di partenza non é buono.

Nel giro di un anno metto insieme una band, un nuovo repertorio, e non funziona.

I concerti sono pochi. Ti accorgi che non gira quando ti presenti bello e preparato per uno spettacolo e scopri che il locale ha chiuso il giorno prima.

La crisi
Tirate le somme, sono passati dieci anni. Dieci anni in cui tieni le fila di situazioni senza speranza, di registrazioni fatte male.

Mi rendo conto di avere fatto tutto questo per colpa di una mia immagine da conservare.

Non riuscivo a vedermi senza suonare, senza cantare, senza essere in qualche modo anch’io un musicista.

Ho resistito per anni alle domande: “Suoni. Ma guadagni qualcosa? Mio cugino suona in gruppo e fanno tanti matrimoni!”

La gente pensa che se suoni per hobby devi guadagnare qualcosa.

Se uno gioca a tennis per hobby deve per forza vincere dei tornei?

Decido di smettere, di chiudere tutto.

Un elenco di cose che non voglio più fare: trasportare amplificatori, entrare in sale prova, telefonare ogni settimana a cinque persone per convincerle a fare una cosa per la quale si sono impegnate volontariamente, provare duecento volte un pezzo perché qualcuno non riesce a suonarlo.

Sí, forse sono diventato vecchio.

Decido di sparire, dico in giro che voglio fare altre cose ma non é vero niente.

Provo a disintossicarmi cercando di imparare a cantare da solo, con la chitarra, ma non trovo niente che m’interessi e non sono veramente solo.

Non voglio avere più a che fare con i musicisti dilettanti, ma i professionisti costano, io non sono un vero musicista, non sono nemmeno un autore.

Non voglio nessuno e nessuno mi vuole: se non altro, non ho problemi a restare solo.

Penso alle registrazioni in casa, quelle con il registratore multitraccia. Manca la batteria, in casa si fa rumore e poi, ho in mente chi ci ha provato: problemi tecnici da paura, manca sempre qualcosa, ti devi fare prestare questo e quello.

Una buona direzione per non fare proprio nulla.

Che fare? Aspetto.

Musicucina
La soluzione é lí davanti a me, cosí semplice che non la vedo.

Una sera, decido di regalare alla mia innamorata un po’ di musica fatta in casa.

Scrivo delle cose da innamorato, prendo la chitarra, mi schiarisco la voce, accendo il registratore.

Il registratore é un Aiwa da pochi soldi, un vero oggetto di consumo con dentro di tutto: due lettori per cassette, la radio, il lettore cd.

Tutti i bianchi occidentali, milioni di persone, hanno in casa qualcosa di simile e nessuno mi ha detto niente.

Decido che sarebbe meglio se riuscissi a suonare prima la chitarra e poi la voce.

Registro la chitarra, tiro fuori il nastro. Lo introduco nel secondo lettore, metto un nuovo nastro nel primo lettore.

Faccio partire il brano e canto. Sulla nuova cassetta ci sono chitarra e voce miscelate insieme.

Il risultato é esattamente come lo volevo io.

Rimango un’ora a fissare il registratore, fermo.

Sento le voci di musicisti scomparsi da tempo che mi dicono: “No! Per favore no! C’é già troppa brutta roba in giro!”.

Io, come tutti i grandi criminali, ignoro i suggerimenti e dopo un’ora ho un disegno preciso in testa: Musicucina.

Quel piccolo prodotto della tecnologia giapponese mi ha liberato dalle catene.

Penso di poter fare un disco, canzoni complete con tutti gli arrangiamenti, duemila strumenti, effetti, senza poter avere scuse per non farlo.

Ho buttato via la band, ho buttato via gli strumenti e ora ho solo la mia voce e un registratore con due cassette.

Registro il primo lavoro di Musicucina: “Lavori di bocca”.

Butto via un sacco di tempo, ma é il mio tempo, critico il lavoro dei musicisti, ma non devo litigare con nessuno.

E se il risultato fa schifo, beh, questa volta é solo colpa mia.